Fa sempre bene tornare alla Galleria Borghese (anche quando qualche sala è chiusa per restauri) e passare un paio d’ore insieme a Caravaggio, Bernini, Pietro da Cortona, Tiziano, Rubens e compagnia bella. Personalmente, da sola o accompagnando qualche gruppo, rimango sempre estasiata di fronte alle statue di Bernini, non riuscendo a decidere mai qual è la mia preferita. Apollo e Dafne? Con la corsa del dio e l’espressione basita e al tempo stesso spaventata della poverina che si sta trasformando in alloro? Oppure il ratto di Proserpina, con la mano di Plutone che affonda nella coscia di marmo di lei come se fosse carne viva? Forse ancor meglio il David, con quella espressione tesa e concentrata, e con il corpo pronto a sferrare il colpo letale. Per non parlare poi del doppio ritratto di Scipione Borghese, di uno cioè dei più appassionati collezionisti di ogni epoca, che non si faceva scrupoli nel rubare quadri, arrestare pittori o confiscare loro tutto il patrimonio pur di mettere le mani su quello che più amava. Del cardinale Bernini realizza un ritratto straordinario, che lo rappresenta mentre si è appena voltato – immaginiamo per osservare qualcuno appena entrato in una stanza – e con la bocca semiaperta come a voler dire qualcosa. Un ritratto che però aveva evidenziato una vena del marmo proprio in mezzo alla fronte di Scipione…che fare allora? Presentare quel busto al cardinale, sperando che non si accorgesse di nulla? O, meglio ancora, fare in tutta fretta, e all’insaputa di tutti, un secondo ritratto, in tutto e per tutto identico al primo, e mostrarli insieme a Scipione, che immaginiamo pazzo di gioia per poterseli portare a casa entrambi. Ma in fondo chi non lo sarebbe?