Avevano provato ad avvertirlo in tutti i modi, ma lui niente! Insensibile alle preghiere di sua moglie Calpurnia che lo scongiura di rimanere a casa quel giorno, cieco ai cattivi presagi che si facevano sempre più numerosi, sordo alle parole dell’aruspice Spurinna (“guardati dalle idi di marzo!”) e a quelle di Cornelio Balbo che gli aveva consigliato “quando andrai alla Curia di Pompeo, ti scongiuro, assicurati d’avere intorno la fedele guardia ispanica”. Cesare va incontro al suo destino quella mattina del 15 marzo del 44 a.C. Da solo. Arriva alla curia di Pompeo, poco distante da quello che è oggi largo Argentina, dove in quel periodo si riunivano i senatori. È un attimo, come racconta Svetonio: “gli furono inferte ventitré pugnalate e solo al primo colpo emise un gemito senza dire parola. Quando tutti gli assassini furono fuggiti in disordine, rimase a lungo a terra, morto, poi venne deposto su una barella e tre schiavi lo portarono a casa. Morì nel suo cinquantaseiesimo anno d’età e fu annoverato tra gli dei. Quanto ai suoi assassini, nessuno gli sopravvisse per più di tre anni, e nessuno morì per cause naturali. Alcuni si diedero la morte con lo stesso pugnale col quale avevano osato trafiggerlo”. Cesare era morto, ma nasce in quello stesso momento la sua leggenda.