Quousque tandem, Catilina, abutere patientia nostra? Fino a quando, Catilina, abuserai della nostra pazienza? Quante volte abbiamo ripetuto questa frase a scuola, cercando di ricordare la giusta declinazione di patientia? Quante volte, come in un film, invece di sfogliare il dizionario di latino, ci siamo immaginati Cicerone che addita Catilina in senato e gli rivolge queste parole? Il confronto è degno dei migliori film di spionaggio: è l’otto novembre del 63 a.C., Catilina e Cicerone sono entrambi nel senato, l’uno è accusato di voler sovvertire la Repubblica, l'altro è quello che lo scopre, che lo descrive in Senato come assassino, degenerato, incestuoso, in procinto di uccidere molti di quegli stessi senatori. L'esito dello scontro sembra segnato: Catilina abbandona Roma diretto verso Fiesole dove incontra gli altri congiurati, prima con la speranza di marciare direttamente verso l'Urbe, poi - visto che i suoi progetti d'insurrezione a Roma erano miseramente falliti - verso la Gallia, per trovare nuovi alleati. Durante il tragitto Catilina e il suo esercito, composto da poche migliaia di uomini, viene intercettato e sconfitto, e lo stesso Catilina ucciso. Proprio la morte sembra riabilitarlo, almeno nelle parole di Sallustio: "Catilina fu trovato lontano dai suoi, in mezzo ai cadaveri nemici. Respirava ancora un poco; nel volto, l'indomita fierezza che aveva da vivo".