Era la mattina del 6 agosto del 1623 quando i cardinali, dopo ben diciassette giorni di conclave, e con lo spettro di una febbre che si stava facendo strada tra di loro, si risolsero nello scegliere come nuovo papa Maffeo Barberini che prese il nome di Urbano VIII. Arguto, spiritoso (e inflessibile per le questioni che lo riguardavano da vicino...) ma anche un tantino suscettibile, tanto da processare l'abate di santa Prassede che aveva osato predire la sua morte, o proibire gli oroscopi se questi riguardavano lui o i suoi parenti più prossimi. Urbano VIII è però soprattutto un grande amante del bello: ama la letteratura, in special modo quella latina, e lui stesso si diletta nello scrivere qualche verso, anche se sembra con scarsi risultati, visto che la critica moderna li definisce "di una banalità insopportabile". Un suo componimento è rimasto però abbastanza celebre: avete presente l'Apollo e Dafne di Bernini? Che domande, certo che l'avete presente...bene, quei brevi versi alla base della scultura ("Quisquis amans sequitur fugitivae gaudia formae, fronde manus implet baccas seu carpit amaras"...più o meno vuol dire che chi insegue il piacere si ritrova con un pugno di mosche) sono stati scritti proprio da Maffeo, ancora cardinale, per dare una connotazione moraleggiante al gruppo. E vogliamo dimenticare lo straordinario intuito di papa Urbano in fatto di arte? Con lui - e con Bernini - Roma diventa la città barocca per eccellenza...certo, tra il baldacchino di san Pietro, il suo monumento funebre, chiese, piazze e fontane, le finanze dello stato pontificio sono ben presto compromesse, e le tasse aumentate sempre più (un esasperato Pasquino scrive a proposito: "Urban poi che di tasse aggravò il vino, ricrea coll'acqua il popol di Quirino"). Ma se il risultato è questo, possiamo pur perdonarlo...o no?