Scampato il pericolo, e usciti indenni dall'incrocio delle Quattro Fontane (per osservare la facciata della chiesa bisogna più o meno sfidare la sorte e le auto in corsa...) ci si può finalmente abbandonare alla bellezza di uno dei luoghi che preferisco in città, la chiesa di san Carlo alle Quattro Fontane. O san Carlino, nome che coglie in pieno la caratteristica più evidente della chiesa. Che è piccola, anzi piccolissima, talmente piccola che, con qualche sforzo lo ammetto, la si potrebbe infilare in uno dei quattro piloni che reggono la cupola di san Pietro. La chiesa è il risultato migliore che si potesse ottenere in un luogo del genere, ed il merito è tutto di Francesco Borromini, che concepì sì una chiesa barocca, ricchissima in ogni dettaglio ma completamente bianca, e pura. E certamente pensò ad una cupola che potesse fare da cappello ai fedeli, ma la disegnò ellittica anziché tonda, proprio come quelle perle barocche che non sono perfettamente sferiche ma a goccia, ovali, ellittiche appunto (dopotutto il termine stesso, "barocco" non deriverebbe secondo alcuni proprio da queste perle imperfette?) E poi il chiostro, che i trinitari avevano chiesto, e che è un piccolo capolavoro di ingegno, con lo sguardo che non si ferma mai e sembra cogliere spazi infiniti, visto che non c'è un vero e proprio angolo in questo serraglio magico, e che anche i balaustri della loggia si muovono continuamente, uno a testa in giù, uno a testa in su. Vien solo da pensare a quanto capolavori Borromini avrebbe potuto lasciare nelle case moderne, ricavando stanze laddove non ci sono nemmeno gli spazi...ma d'altronde il genio è proprio questo: non lo diceva anche Picasso, "io non cerco, trovo"? Ecco, Borromini ha sempre trovato, e costruito, spazi impossibili.