A guardarlo così, sovrappensiero, sembra quasi uno di quei porta bon bon che un tempo si trovavano nelle credenze di certe case, quelle in vetro o in cristallo che mettevano di buonumore solo a guardarle, pensando a quante prelibatezze potessero regalare. Ed è strano il fatto che il tempietto di san Giovanni in Olio ci riporti alla mente ricordi così lieti pur essendo legato a un fatto efferato (che però, in fondo, finisce bene): racconta infatti la leggenda che l'imperatore Domiziano, stufo delle continue predicazioni di san Giovanni Evangelista in Asia, lo mandò a prendere e lo cacciò in un pentolone d'olio bollente che friggeva proprio qui, a due passi da porta Latina. Ora, all'evangelista, che pare fosse all'epoca ottantenne, l'olio bollente non scucì nemmeno un ahia, e non gli lasciò nemmeno una bruciatura quando l'imperatore, stanco di aspettare la cottura, ordinò che fosse tirato fuori dal padellone. Vedendolo così in forma anzi, la folla dei curiosi si persuase immediatamente di avere di fronte un mago e, per non saper né leggere e né scrivere, Domiziano rispedì san Giovanni in Oriente, in esilio a Patmos, dove l'arzillo evangelista scrisse la sua Apocalisse. Cosa rimane di questa storia? Il nostro tempietto, costruito proprio sul luogo in cui si tentò di ammazzare il santo; qualcuno ha ipotizzato che l'idea di costruire una struttura del genere sia stata del Bramante (che, in fondo, a san Pietro in Montorio aveva fatto qualcosa di non troppo diverso), altri propendono per Antonio da Sangallo, ma purtroppo non ci sono certezze. Quel che sappiamo è che nel 1657 il cardinale Francesco Paolucci ordinò un restauro pressoché totale a Borromini, che lavorò soprattutto sulla parte alta della chiesina, creando un tamburo decorato a stucco e un coronamento (che poi sarebbe il manico del nostro porta bon bon; l'originale è oggi sotto al portico della vicina chiesa di san Giovanni a porta Latina) che riprende l'immagine dello stemma del committente, con palme, gigli e rose. Il resto è invece lasciato molto semplice, senza alcuna decorazione: solo l'estro di qualche imbecille imbratta di tanto in tanto le pareti esterne del tempietto con lettere e simboli che non ho mai capito. Una cosa però mi è chiara: Borromini era un gran goloso, e rubava di nascosto le caramelle che il cardinale Paolucci teneva nel suo porta bon bon, in bella vista sulla scrivania. Ed è lì che gli è venuta l'idea per questo monumento, non credete?