Non sono scaramantica, mi piacciono i gatti neri, non credo all'oroscopo e ho scoperto solo da poco il mio ascendente (ma quando ho saputo dell'esistenza del tema natale ho deciso che avrei potuto fare tranquillamente a meno di scoprirlo), ma su una cosa, una cosa solo non transigo: la Candelora. Perché forse già alle elementari qualcuno mi svelò quella specie di formula magica che dice così: "quanno viè la Candelora da l'inverno sémo fóra, ma se piove o tira vènto, ne l'inverno semo dentro", e da allora mai, e dico mai, la tradizione è stata smentita. La Candelora è davvero la cartina tornasole della primavera: quando il due febbraio splende il sole, vuol dire che l'inverno ha i giorni contati. E io, che ieri in bici ho sentito per la prima volta quest'anno il profumo della mimosa, so che tra un po' sarà già primavera. D'altronde, la Candelora è una tradizione così connotata nella storia di Roma che anche Giuseppe Gioacchino Belli scrive un sonetto intitolato proprio così, e che racconta di come le chiese fossero piene anche perché quel giorno i fedeli ricevevano una candela (potenza del marketing?). Ecco come fa:
Er dua de frebbaro
Uh! cch’edè ttanta folla a la parrocchia?
Perch’entri tutta eh! nunn j’abbasta un’ora.
E in sta cchiesa piú cciuca d’una nocchia
sai cuanti n’hanno da restà de fora!
Senti, senti la porta come scrocchia!
Guarda si ccome er gommito lavora!
Ma pperché ttanta ggente s’infinocchia
drento? Ah è vvero, sí, sí, è la cannelora.
Ecco perché er facchino e ffra Mmicchele
usscirno dar drughiere co una scesta
jeri de moccoletti e dde cannele.
Tra ttanta divozzione e ttanta festa
tu a ste ggente però llevejje er mele
de la cannela, eppoi conta chi rresta.