C'è un libro di Grace Paley che si intitola Volevo scrivere una poesia, invece ho fatto una torta. Ecco, stavolta ho pensato proprio a lei perché anche io dovevo scrivere il post di oggi, ma invece - visto che avevo fame - mi sono messa a preparare la schiscetta per il pranzo di oggi e ho spadellato (versando un poco di ingredienti a caso, fino ad ottenere il composto desiderato) dei pancake alla farina di ceci che ho scoperto mi vengono benissimo, in ogni caso. E no, non sto per confessarvi che a breve questo blog diventerà un blog di cucina (ma chissà, le vie del web sono infinite, e io ho già in mente in paio di cambiamenti per il prossimo anno), ma dosando e rimestando ho pensato che il post di oggi poteva sì, essere dedicato proprio alla cucina, e a un poeta che ha consacrato addirittura un suo sonetto alla cucina del papa. Lui è Giuseppe Gioacchino Belli e i suoi versi, oltre che la cucina del romano pontefice, rimandano a quella di un altro romano celebre: Lucullo. Cosa me lo fa dire? Leggete prima il sonetto (e mi raccomando, leggetelo ad alta volte che sennò non si capisce, anche se siete nati dentro il Gra):
Co la cosa ch’er coco m’è ccompare
M’ha vvorzuto fa vvéde stammatina
La cuscina santissima. Cuscina?
Che ccuscina! Hai da dí pporto de mare.
Pile, marmitte, padelle, callare,
Cossciotti de vitella e de vaccina,
Polli, ova, latte, pessce, erbe, porcina,
Caccia, e ‘ggni sorte de vivanne rare.
Dico: «Pròsite a llei, sor Padre Santo».
Disce: «Eppoi nun hai visto la dispenza,
Che de ggrazzia de Ddio sce n’è antrettanto».
Dico: «Eh, scusate, povero fijjolo!
Ma ccià a ppranzo co llui quarch’Eminenza?»
«Nòo,» ddisce, «er Papa maggna ssempre solo.»
Adesso capite perché ho subito pensato a Lucullo, il generale romano rimasto famoso, più che per le sue conquiste, per i suoi banchetti? La tradizione racconta infatti che una volta il nostro eroe, al quale evidentemente l'appetito non faceva difetto, si lamentò coi suoi cuochi del pranzo che gli avevano servito, troppo scarso per i suoi standard. E quando quelli gli fecero notare che non avevano preparato niente di particolare perché sapevano che quel giorno avrebbe mangiato da solo lui, un po' stizzito (provateci voi ad alzarvi da tavola ancora con la fame): "ma come, non sai che oggi Lucullo cena con Lucullo?"
La morale è che Roma è sempre uguale a se stessa, nonostante il trascorrere dei secoli. È il Gattopardo: cambia tutto, ma tutto resta uguale.